BRUNO TONTINI: esposizione opere
Nome Artista BRUNO TONTINI
Stato attivo
Registrato 30 Lug 2011
Località Urbino
Occupazione Dedito totalmente alla pittura
Sito Web Del mio critico:www.globalocale.net/index.php; www.marvel.it/glock/;www.tuoblog.it/5S1949/
Email pubblica per contatti ermesdor@gmail.com
Biografia Di me e della mia opera


Sono nato a Urbino il 18 settembre 1959. Ho studiato incisione presso l’Istituto Statale d’Arte d’Urbino. Dopo il periodo lavorativo 1980-1982 presso la casa editrice Montefeltro, tra il 1982 e il 1990 ho operato come Disegnatore con i ben noti archeologi Doro Levi e Filippo Maria Carinci negli scavi di Festos (Creta), e in Libia con gli archeologi Sandro Stucchi e Lidiano Bacchielli (Cirene) e con Enzo Catani (El Beida), con un parentesi, sempre di disegnatore, a Tarquinia. Su incarico dell’Accademia dei Lincei ho eseguito nel 1986 i rilievi e i disegni, raccolti nella pubblicazione Osservazioni sulla Porta Augustea di Fano; miei disegni sono presenti nel volume Il Palazzo di Federico da Montefeltro, Quattroventi, 1985.


MOSTRE PERSONALI

o Saletta Paolini Nezzo, Urbino (presentazione di Carlo Inzerillo), 1980.
o Galleria La Libreria di Mauro Pillinini, Tolmezzo (UD) (con una presentazione di Ermes Dorigo e un mio testo), 1999.
o Accademia Raffaello Urbino, Bottega “Giovanni Santi” (con una presentazione di Silvia Cuppini, una poesia di Ermes Dorigo e un mio testo ), 2000.
o Museo della Città –Urbino (presentazione di Ermes Dorigo e un mio testo),2010



MOSTRE COLLETTIVE

o Galleria Segno Grafico, Udine (autopresentazione), 1979.
o Galleria dell’Aquilone, Urbino (con una presentazione di Enzo Torri e un mio testo), 1980.
o Galleria ARCI, Urbino (presentazione di Ermes Dorigo), 1990.



BRUNO TONTINI

Comunicare alla mail del mio critico Ermes Dorigo (successivamente, se combiniamo, vi fornirò il mio numero di cellulare): ermesdor@gmail.com
Suoi siti:
www.globalocale.net/index.php
www.marvel.it/glock/
www.tuoblog.it/5S1949/

Testo critico dell'ultima mostra (2010)
SU I DIPINTI DI BRUNO

Quando vogliamo indagare nell’inquietudine dei colori e delle forme che l’energia pulsionale, plasmata spesso dall’esperienza del dolore fisico e della sofferenza psicologica, ha generato, veniamo catturati nel misterioso gorgo orfico di un’opera che resiste, con la sua autonoma autosufficienza, al consumo e alla superficiale fruizione, in quanto nell’oscuro mondo della psiche, che ha il potere di frantumare o ricomporre in frammenti e figure il soma, il corpo, non vale il nostro abituale logos, il normale e comune modo di pensare, perché qui ci troviamo immersi nell’oscura compresenza della coincidentia oppositorum, dove morte e vita, solitudine e comunicazione – la finestra aperta su paesaggi e cieli -, microcosmo individuale e macrocosmo naturale, la minuscola cellula e il paesaggio che si dilata all’infinito, l’io e il suo doppio, il corpo baconianamente dissezionato (ma in Bacon finestre e porte sono nere a significare che la solitudine e l’umana sofferenza sono irredimibili) e la cellula circolare raggiata– di blu cobalto e ciano primario con un inserto di rosso vitale - della nascita-rinascita convivono, si mescolano, si con-fondono. Ciò, dopo un’iniziale sensazione di intrigante spaesamento, determina in quel fruitore che, spinto dall’e-mozione della percezione, vuole intus-legere, leggere dentro, attraverso il significante, un significato per sé, per l’arricchimento della propria vita interiore attraverso questa esperienza estetica, un moto interiore di ricerca di senso e di comprensione, di sfida, anche, all’arroganza di questa opera in sé compiuta e conclusa nella sua pienezza, mentre egli é frantumato, disseminato, in-sensato e che, paradossalmente, ricerca la ricomposizione proprio da un’esplosiva dissoluzione di forme e colori, carichi di una simbologia esoterica e di difficile univoca decifrazione - quindi, anche quelle di chi scrive sono ipotesi opinabili -, che é la caratteristica dell’arte vera: la polisemia, la pluralità sempre sfuggente delle interpretazioni, che vivificano il cuore e la mente e, appunto, regalano un accrescimento di vita.
Paradigmatico di questa sfuggente e intrigante moltiplicazione di significati é la forma dominante dell’enigmatico lenzuolo – una lontana analogia credo si possa trovare nel pittore veneziano Carmelo Zotti, che si rappresenta col volto coperto in tante sue ieratiche raffigurazioni - che copre la figura o che, piuttosto, é il corpo stesso, che si metamorfizza, per dirsi col suo proprio linguaggio, polemicamente opposto ad un mondo afasico sempre più privo di lingua significativa e comunicante, annegata negli stereotipi mediatici dell’ignoranza inespressiva. Esso può simboleggiare la morte, il rifiuto della vita, quando si staglia su uno sfondo nero invalicabile; regressione disindividuante; un presente immobile e vuoto, gravido però di passato e futuro; colpa e innocente espiazione; oppure la nolontà di sfuggire ad un nero abisso che attrae nella dissoluzione del nulla; o l’incapacità di porsi in sintonia e armonia con la natura pacificatrice, rasserenatrice e fonte di speranza, come si propone il paesaggio in alcuni quadri. Ma può anche porsi come allegoria positiva: difesa della propria identità, intimità, animalità intesa come corporeità vitale; auscultazione del sé e immersione, dissoluzione nella natura come esile vibrante fibra di essa; protezione del «sovrumano» silenzio, che reclama la contemplazione trasognata della natura infinita, come appare in un quadro il dolce modulato paesaggio collinare che avvolge Urbino; un dolce naufragare e dissolversi panico in un alluso vangoghiano campo di grano; un tramonto di un rosso vitale e di speranza; le acque del mare, principio e fine di tutto, contemplate da due, pare, figure femminili che si riflettono l’una nell’altra, risolvendosi quindi in una sola, quasi a dire che solo col femminino é concessa un’umana comunicazione, altrimenti negata, e possibile in solitudine solo con la natura; una figura in forma di croce, che comunica sofferenza, che essa dilata in un «silenzio nudo» a tutto il cosmo; e l’infinito dei cieli onnipresenti – i leopardiani «interminati/spazi» -, mai uguali, a dilatare la meraviglia della immensità e varietà della vita, che si possono solo intuire con una sensibile e calda interiorità, perché in esse si annega il nostro pensare.
S’annega soprattutto in una ricchissima tavola cromatica e in una sintesi – la coincidentia oppositorum, cui cennavo – compositiva e coloristica, che dal rinascimento e dal manierismo attraversa e brucia i tormenti esistenziali dei cieli angoscianti di Munch e le oscure drammatiche terre bruciate di Goya, attraverso una sapiente tecnica, che riesce a far convivere in mirabile equilibrio ed armonia ampie campiture di colore con tratteggi quasi calcografici, che sfiorano il pointillisme, per cui la nostra parte emozionale, il cuore quasi «si spaura» nel vortice illusionistico e straniante, generato dall’uso dei cosiddetti colori adiacenti, dall’accostamento soprattutto di colori secondari e complementari – si sa che se si accostano questi ultimi si ottiene un effetto di massimo contrasto: i due colori acquistano forza cromatica, rafforzando a vicenda la luminosità di entrambi -, e dalla diversa temperatura di colori caldi e freddi, che determinano la coesistenza di prospettive geometriche e intuitive e, talora, di plurime focalizzazioni della luce.
L’arte non ha confini, perché ogni artista può spaziare in libertà; talvolta, sospinto da intime piaghe e ferite, s’inoltra, come nel caso di Bruno, in un mondo altro, enigmatico e allusivo, come sono, ad esempio, certe strutture compositive a piramide, che simboleggia morte e immortalità, prigionia nella terra e proiezione verso il vertice, l’infinito. Significativo nelle sue opere é appunto un insistito, tormentato e instancabile cercare il risveglio, la libertà, la luce, il distacco, almeno artistico, dalla finitezza. Tanti sono i momenti struggenti, esternati da surreali presenze paraumane, immerse nella simbologia della natura, tendenti al respiro della vita. L’atmosfera, talora anche inquietante per un rapporto cromatico luminescente, ad esempio, di grigio perla, di bianco e di rosso sanguigno sul nero e sul blu, accentua il problematico significato introspettivo delle opere, comunque e sempre coinvolgenti, d’interrogante stupore.
ermes dorigo
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Ermes Dorigo ha svolto un’intensa attività critica e letteraria oltre che di giornalismo culturale. Ha collaborato con le riviste «Problemi» di Giuseppe Petronio; «Alfabeta», direttori, tra gli altri, Eco, Volponi, Corti, Leonetti; «Allegoria» di Romano Luperini; «Tam Tam» di Adriano Spatola & Giulia Niccolai; «ZETA» editore Campanotto. Un suo ampio saggio su I codici della Commedia in Friuli é stato pubblicato sulla rivista «Dante Studies», organo ufficiale della Dante Society of America. In prosa ha pubblicato Neuterio della lontra, con prefazione di Claudio Magris (premio Casentino 1987); Nello specchio incrinato. Paolo Volponi e Pier Paolo Pasolini (piéce teatrale), 1996; il romanzo Il finimento del paese, Kappa Vu 2006, con postfazione di Mario Rigoni Stern. In poesia Esistere! dal compromesso con prefazione di G. De Santi,, 1978; Le ceneri di Pasolini, 1993; Lo sguardo anacronico, 2000. Ha curato criticamente le pubblicazioni di ANONIMO DA TULMEGIO, Canzoniere petrarchesco del XVI secolo, 1988; SIRO ANGELI Anthologica. Il teatro. La poesia. La critica, 1997 (finalista al premio Marino Moretti); SIRO ANGELI, Solevento (Poesie 1928-1931), 2008. E’ autore della biografia Michele Gortani, Studio Tesi, 1993. Ha creato e dirige la rivista culturale on line GLOCK (GlobaLocale): www.globalocale.net/index.php.


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